Quanto è affidabile Internet?

L’articolo presenta una breve sintesi della ricerca sull’affidabilità dell’informazione su Internet, a cura di Marcia Clemmit, pubblicato da CQResearcher, una divisione della Sage Publication.

caratteri mobiliIl documento, di cui ho saputo attraverso la lista dell’AIB (Associazione Bibliotecari Italiani), mi è stato inviato in formato digitale dall’Information Resource Center dell’Ambasciata degli Stati Uniti in Italia, presso cui è possibile consultarlo o evenutalmente chiederne copia.

Si tratta di una ventina di pagine, che attraverso vari qualificati punti di vista, affrontano aspetti sociali, storici e tecnologici dell’accuratezza dell’informazione su Internet, demolendo alcuni luoghi comuni. Partendo dalla campagna denigratoria svolta da alcuni siti nei confronti di Barack Omana, si affronta il problema delle informazioni errate, false e imprecise.

La prima sorpresa: due storici della George Mason University, dichiarano che le informazioni sbagliate spesso provengono da fonti autorevoli, e citano il caso dell’Istituto d’Arte di Chicago pubblica date errate sulla nascita di Monet mentre il dato corretto è fornito da un sito chiamato Wikitravel.

Il punto vero è che manca un capacità critica di consumo dell’informazione, e soprattutto che la supposta capacità dei giovani “digital nativi” di usare i media digitali, è in realtà molto limitata. Spesso i giovani assegnano un valore di credibilità maggiore ad un sito ben organizzato e graficamente ben progettato, piuttosto che all’effettivo contenuto. Effettivamente nel mondo degli “old media” la qualità della presentazione è un segnale di disponibilità di risorse, e quindi in teoria di qualità, ma nel mondo digitale, un giovane di 15 anni può costruire un sito graficamente più accattivamente di uno governativo.

La capacità di usare i media non è data dall’età, ma dalla quantità di tempo passata online: alimentare lo stereotipo che tutti i giovani “sono smanettoni” è controproducente e alimenta il digital divide verso coloro che non hanno la possibilità di usare un pc. Il prof. Bucy dell’Univ. dell’Indiana, mette in guardia dal pensare che il divario digitale (anche fra i giovani) sia superato: l’accesso alle tecnologie va affrontato sul piano cognitivo e sociale e non solo come la dispobilità di un pc.

 Il modello di produzione collaborativa adottato dai wiki ha aspetti positivi e negativi, ma è sbagliato pensare a Wikipedia come un modello basato sull’anarchia: il suo successo è basato su un’impostazione fortemente gerarchica e ad una continua revisione dei contenuti. Sul piano tecnologico, ogni strumento che migliora la tecnologia usata dai media cambia sostanzialmente la società, e se l’esempio di Martin Lutero, che grazie alla rivoluzione dei caratteri mobili e quindi all’accessibilità dei testi sacri a costi accessibili trovò terreno fertile alla diffusione del protestantesimo, per noi europei non è molto nuovo, è sicuramente meno risaputo che, come ci racconta il prof. Fang, il telefono abbia consentito la fabbricazione dei grattacieli, favorendo le comunicazioni durante la loro costruzione.

 

La vera rivoluzione nell’informazione non sta nell’accumulo di informazioni ma nella velocità e facilità di reperimento: infatti già ai tempi di Francis Bacon, gli studiosi del XVI sec si lamentavano dell’eccesso di libri e giornali.

Le prime biblioteche greche ed egizie erano accessibili solo nel caso di qualche bibliotecario ante litteram che fosse dotato di memoria prodigiosa. Solo nel 2 sec. d. C. Callimaco di Cirene adotterà nella biblioteca di Alessandria un “catalogo” diviso in 4 sezioni, legge, medicina, storia e filosofia, con i libri elencati in ordine alfabetico. Il “vecchio metodo” Dewey, datato 1870, offre un sistema di catalogazione tutt’ora utilizzato in molte biblioteche, ed è giunto alla 22sima edizione.

La storia così breve di queste tecnologie non ha ancora consolidato “segnaletiche” e abitudini cognitive per favorire il riconoscimento delle risorse di valore accessibili in rete: per questa ragione ancora saranno sempre più importanti la capacità pensiero critico che la scuola purtroppo non sempre fornisce, e abilità legate al confronto e all’incrocio delle fonti. Questo oggi è uno dei limiti che caratterizza molti dei fenomeni di citizen journalism, a cui spesso manca “una seconda lettura critica” prima della pubblicazione, così come una riflessione rigorosa e lenta sui fatti, rispetto al paradigma della “velocità” che offre il mondo digitale.

Se in futuro dovremo fare a meno di mediatori come i bibliotecari, la digitalizzazione del sapere dovrà soddisfare i bisogni dell’umanità e non quelli di una impresa. Perché un futuro di agenti intelligenti, può riservare anche brutte sorprese ci avverte il prof. Turow dell’Univ. della Pensylvania: avere un servizio di notizie e informazioni basato su profili generati da esigenze di marketing, basati su quello che consumiamo e che possiamo spendere, significa che vedremo quello che qualcun altro vorrà farci vedere e non quello che abbiamo scelto noi.

( Liberamente tratto da: Clemmit, Marcia, “Internet Accuracy”, CQ Researcher, Aug 1, 2008, Volume 18, Number 27, pages 625-648)