Digital divide a rischio business

Pubblicato su MyTech mercoledì 10 aprile 2002

L’allarme lanciato dal mondo non profit raggiunge le sfere istituzionali: il gap tra paesi hi-tech e paesi in via di sviluppo non può essere colmato con un neo-colonialismo. E l’open source è ancora ignorato.

Si è aperta oggi a Palermo la Conferenza Internazionale sull’e-Government per lo Sviluppo, presentata dal Governo italiano con il sostegno del Dipartimento degli Affari Sociali ed Economici delle Nazioni Unite. Non mancano proteste e contestazioni che evidenziano il dissenso di una parte della società riguardo al tentativo di imporre il modello di sviluppo che ha funzionato nei paesi industrializzati, senza tener conto delle diverse problematiche di base e delle specificità socio-culturali delle popolazioni del resto del mondo. La difesa dei diritti di quest’ultime è nelle mani dei partecipanti al meeting: è auspicabile che si possa evitare una sterile contrapposizione ideologica: la strada per raggiungere la digital inclusion evitando la digital invasion esiste già, si chiama open source.

È davvero di moda il digital divide, l’ultima tendenza lanciata dalla riscoperta dell’infopoverty: in questi ultimi due anni i paesi occidentali si sono accorti della spaventosa arretratezza nei settori Ict in cui si trovano a vivere miliardi di persone, uno tra i molti divari tra ricchi e poveri che invece di ridursi tende ad ampliarsi.
I cosiddetti paesi in via di sviluppo sono tuttora condizionati dalle conseguenze del colonialismo, oppressi dai debiti internazionali e vittime dell’economia di mercato: in questo quadro desolante non dovrebbe risultare sorprendente il recente dato dell’International Telecommunication Union, secondo il quale il 20 per cento della popolazione mondiale dispone del 60 per cento delle utenze di telefonia e del 70 per cento delle utenze Internet. Il sottosviluppo tecnologico è una causa o una conseguenza della povertà?

Una parte dell’industria tecnologica occidentale per ora ha sfruttato le risorse umane (manodopera a basso costo) e naturali (discariche di rifiuti tossici senza troppi controlli governativi) dei paesi in via di sviluppo, ma si aprono nuove interessanti prospettive che riguardano i nuovi mercati: se l’area statunitense e quella europea rischiano la saturazione, ci si può sempre rivolgere altrove e tentare di replicare il redditizio monopolio del software commerciale che richiede continui aggiornamenti hardware, altrettanto convenienti.

Colmare il digital divide sembra proprio un affare promettente. E ci si sente anche più buoni, quasi come a Natale. Qualcuno ricorda le polemiche scatenate dopo la proposta targata Microsoft di regalare software alle scuole americane?

Poste di fronte a questi rischi, le organizzazioni non governative che lavorano da anni nei paesi in via di sviluppo hanno lanciato l’allarme e alcune di loro sono state chiamate a far parte delle task force istituzionali che si occupano del digital divide.

Sara Sironi

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