SCUOLA E SALUTE: ECCO LE PRIORITA DEL GOVERNO

Il Presidente del Consiglio, nel discorso di replica per la fiducia alla Camera, ha sottolineato che i problemi prioritari da affrontare sono quelli relativi all’istruzione e alla sanita’, in quanto interessano tutte le famiglie italiane. Per lo sviluppo

Il Presidente del Consiglio, nel discorso di replica per la fiducia alla Camera, ha sottolineato che i problemi prioritari da affrontare sono quelli relativi all’istruzione e alla sanita’, in quanto interessano tutte le famiglie italiane. Per lo sviluppo del Mezzogiorno, altro tema chiave per la crescita del Paese, il primo punto del piano del Governo e’ il recupero della legalita’.

Testo integrale del discorso di replica per la fiducia alla Camera pronunciato dal Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, il 21 giugno 2001.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, vi sono grato per aver letto il testo che le regole dell’alternanza mi hanno imposto di esporre questa volta al Senato. Vi sono grato per averlo voluto discutere con la serietà, l’impegno e la passione civile che sono fra le più antiche e solide tradizioni di questa Camera.

Grazie al voto di fiducia del Senato della Repubblica e a quello che voi esprimerete tra poche ore – se deciderete di esprimerlo – il Governo entrerà pienamente in funzione e sarà in grado di lavorare con il conforto della sua base politica ed istituzionale, cioè con il consenso del Parlamento. Sono stato oggetto di qualche ironia, accettata ovviamente di buon grado, per aver detto in campagna elettorale che sarei stato un presidente operaio.

Molti colleghi mi hanno chiesto conto, anche in questo nostro dibattito, di una formula che ho usato come quella della nuova politica. Cerco di spiegare, approfittando della vostra pazienza e della vostra attenzione, che cosa significano per me queste espressioni che sono state gettate a caldo nella fornace della campagna elettorale.

Le classi dirigenti, soprattutto nella vecchia Europa tanto diversa dalla democrazia americana, sono costituite in larga parte da professionisti della politica e da uomini di partito che nella politica hanno trovato il modo di realizzare le loro idealità, la loro cultura, le loro ambizioni civiche e il loro spirito di servizio. Si tratta di un patrimonio umano e anche tecnico di indubitabile ed inestimabile valore. Senza la politica professionale non sarebbe stato possibile, negli anni duri della ricostruzione postbellica e della prima modernizzazione del paese, comporre i conflitti tra interessi e ideali contrapposti, salvaguardando sempre il terreno comune su cui si fondano le libertà e i diritti eguali dei cittadini. Anche nella nostra coalizione sono in molti ad appartenere a questa categoria pratica e ideale fin dalla prima gioventù, persone formate nella dialettica istituzionale, nel lavoro delle assemblee elettive, nelle assemblee e nel governo della cosa pubblica.

Ho la fortuna di potermi giovare – a partire dal prezioso lavoro del vicepresidente del Consiglio – della loro assistenza, del loro consiglio in un rapporto tra pari che onora la vita interna, varia e multiforme della Casa delle libertà. Tuttavia, noi abbiamo una peculiarità: il fatto che il partito maggiore della coalizione di Governo e il suo leader sono arrivati alla politica – non tutti certo ma, senza dubbio, la maggioranza di loro – dopo molti anni di impegno nella vita professionale, nell’impresa e in altri settori e campi dell’economia e della società.

Il lungo e difficile rodaggio nelle istituzioni, attraverso gli anni della nostra lunga marcia nelle file dell’opposizione costituzionale, non ha potuto rendere questa radice come qualcosa che possiamo dimenticare, una radice che, a mio giudizio, arricchisce il nostro comune lavoro di eletti, di parlamentari al servizio esclusivo della nazione. Ecco, quando parlo di «nuova politica» intendo dire che, nel rispetto delle regole e di una tradizione condivisa ed accettata da tutti gli italiani, nuovi ceti professionali e nuove figure sociali si sono candidati a portare quel che sanno, quello che hanno imparato dalla lezione dell’esperienza, a portare la loro capacità nel campo del lavoro, nella politica del fare, nel Governo della Repubblica.

Noi siamo qui per tentare una seconda, grande opera di modernizzazione di questo straordinario paese che è il nostro paese, che è l’Italia. In questo senso diciamo che il nostro obiettivo è quello di cambiare il paese e di provarci in uno sforzo di rilancio paragonabile a quello che ha trasformato il sistema agricolo degli anni ’50 nella società industriale avanzata dei decenni successivi. E pensiamo che la nostra opera possa essere utile per poi cogliere concretamente, fattivamente, le grandi occasioni del progresso tecnologico, della ricerca scientifica più avanzata, della nuova organizzazione del lavoro e della produzione nella società dell’informazione e della «nuova economia». In questo senso, per noi, il programma delle cose da fare ed il rendiconto delle cose fatte sono la parte più stimolante dell’impegno politico. Vogliamo cercare di produrre buone leggi e occasioni concrete di sviluppo del paese, rispettando ogni vincolo istituzionale, ma con la stessa vocazione al lavoro ben fatto, alla concretezza, alla praticità, alla rapidità di esecuzione che è, o dovrebbe essere, tipica di ogni buon imprenditore e di ogni buon lavoratore. Tacciare tutto questo di populismo, respingerlo con toni ed atteggiamenti conservatori, come la manifestazione di qualcosa di primitivo, di anomalo o, addirittura, di rischioso, mi sembra, francamente, sbagliato ed ingiusto.

Una classe dirigente non dovrebbe mai chiudersi a riccio e rifiutare a priori la logica del dialogo e dello scambio con fenomeni nuovi, specialmente quando questi siano legittimati dal voto e dall’incoraggiamento attivo di tanti milioni di cittadini.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, nella trascorsa legislatura questa Camera ha votato a larghissima maggioranza un testo di legge sui potenziali conflitti di interessi concernenti i membri del Governo. L’onorevole Rutelli, che ci apprestiamo ad ascoltare con attenzione, insiste su questo punto da diversi giorni, con molta vivacità. Tutto si può dire, onorevole Rutelli, ma non che questo sia un tema inedito. Lei non era qui, perché assorbito dall’incarico di sindaco di Roma; eppure la questione ha una sua storia che andrebbe forse ristudiata, per distinguere chi è impegnato a risolvere la questione e chi, invece, si ingegna a farne una bandiera di propaganda strumentale.

Ho parlato del conflitto potenziale di interessi nei discorsi di presentazione alle Camere del mio precedente governo e, nelle repliche promisi di occuparmene nel primo Consiglio dei ministri, cosa che puntualmente feci nominando una commissione di tre saggi incaricata di riferire al Governo. Senza apportare alcuna correzione, trasmisi al Parlamento il risultato del loro lavoro e la Camera, poi, votò la legge che su quel lavoro era basata. Già nel 1994 elencai il numero delle autorità e i meccanismi di garanzia istituzionale che, nel nostro sistema, fanno da sentinella a qualunque ipotetico tentativo di piegare a scopi personali o di gruppo il potere esecutivo. Citai il Presidente della Repubblica, il Consiglio dei ministri nella sua collegialità, il Parlamento e l’opposizione, la magistratura civile, amministrativa, penale, l’autorità antitrust – alla quale, nel frattempo, si è aggiunta l’autorità delle telecomunicazioni -, senza contare la vigilanza critica della stampa e della pubblica opinione.

La norma scelta dagli esperti ed approvata praticamente all’unanimità dalla Camera dei deputati era ispirata alla logica di rafforzare ulteriormente, con nettezza e nitore, un meccanismo di garanzia già forte e ben strutturato. Perché i conflitti potenziali di interessi più pericolosi, come sanno i colleghi deputati (e non solo loro), sono quelli segreti o riservati – di cui potrei citare qualche esempio, se necessario -, non quelli che sono sotto i riflettori della pubblica opinione e sotto la lente di ingrandimento delle istituzioni pubbliche.

C’è stata poi, dopo la verifica istituzionale nella scorsa legislatura, una lunga campagna elettorale in cui la questione fu sottoposta quotidianamente ed in ogni dettaglio agli italiani. E dunque, potrei dire, senza paura di apparire arrogante: basta così, visto che gli italiani che ci hanno votato l’hanno fatto nella assoluta consapevolezza della situazione. Ma non lo dico.

Quando faccio appello in materia al rispetto della mia coscienza, come ho già detto nel 1994, so bene che in democrazia non esiste «la parola di re&#187

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