Mi aggiravo tra gli stand del “TED” di Genova – una delle vetrine più significative per il mercato italiano dell’ education  e, osservando le strategie di sopravvivenza nei volti che mi passavano vicini, alcune domande si facevano strada: dovremmo batterci per le “tecnoclassi”, per avere un computer su ogni banco, o non piuttosto per una diversa logica qualitativa che declini l’utilizzo delle TIC a Scuola con progetti articolati, chiari e riconosciuti, per i quali forse sarebbe più utile un videoproiettore in ogni classe? Siamo poi così sicuri che ciò di cui hanno bisogno bambini e adolescenti sia lo sforzo infinito e mai appagato di cucire loro su misura abiti cognitivi che rispondano alle loro specificissime, individuali, poliedriche, mutanti, esigenze? Che il tempo per ogni singola azione vada dimezzato, e non piuttosto raddoppiato, prolungato, fermato? Che la nostra Scuola possa trarre autentico beneficio da panacee tecnologiche per l’“Alta Velocità”, e non piuttosto dal “Tai Chi”, da movimenti lenti, aggraziati, pazienti?



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