Fare cose con le parole

Occorre fare attenzione alle trappole che il linguaggio ci prepara perché il mondo delle parole è caratterizzato da arbitrarietà  e da inadeguatezza rispetto al mondo delle cose. ”
J. L. Austin, “Come fare cose con le parole�

A un malato grave i medici fanno sapere che non sono in grado di aiutarlo poiché non sanno diagnosticare la sua patologia. Viene interpellato un luminare della medicina che dopo un’occhiata frettolosa sentenzia: “moribundusâ€?. Alcuni anni più tardi l’uomo va a trovare lo specialista per ringraziarlo: “I mediciâ€? gli dice “mi avevano comunicato che avrei avuto la possibilità  di cavarmela se lei avesse potuto diagnosticare la mia malattia e nel momento in cui lei ha detto “moribundusâ€? ho saputo che ce l’avrei fattaâ€? (B. Skorjanec, “Il linguaggio della terapia breveâ€?, Ponte Alle Grazie, Milano 2000, p. 26).

Questa storiella è un fulgido esempio di quello che Austin intendeva per “fare cose con le parole”.
Perché le parole non ci inducano in inganno, per Austin la filosofia deve innanzitutto dedicarsi all’analisi linguistica: alle parole, alle definizioni, alle etimologie (http://www.filosofico.net/austin.htm). Austin è infatti noto per la sua “teoria degli atti linguisticiâ€?, basata sulla constatazione dello scarto esistente tra il significato delle parole e il modo con cui queste vengono usate. Sulla stessa premessa, a partire dall’inizio del secolo scorso si è verificata una crescente attenzione dei filosofi del linguaggio alla dimensione pragmatica, allo studio delle funzioni e degli usi linguistici, ossia al cosiddetto “linguaggio ordinarioâ€?. Si tratta di una prospettiva sorta in opposizione alle tesi filosofiche del “linguaggio idealeâ€? – ad esempio di Frege, Russell e del primo Wittgenstein – secondo le quali è invece da privilegiare la dimensione descrittiva e rappresentativa, e la priorità  è accordata al significato letterale su quello figurato. Secondo la teoria di Austin invece gli atti linguistici sono “performativiâ€?, ossia pongono in essere la realtà . Ecco che allora, in uno specifico contesto costituito da specifiche aspettative, un malato può essere paradossalmente guarito da una definizione medica che pur ne diagnostica lo stato di moribondo. Per Austin infatti tutti gli enunciati – in quanto dotati di una forza specifica che va oltre quella letterale – non solo significano qualcosa, ma eseguono anche atti particolari evocando delle risposte. Il potere della magia, infatti, risiede proprio in questa capacità  performativa della parola di suscitare immagini e emozioni, creando una forma di pensiero sul Piano Astrale che può essere anche potenziata dalla collettività . Come affermava Paracelso: “l’immaginazione è come il sole, la cui luce non è tangibile, e tuttavia può incendiare una casa” (http://ipnosi.interfree.it/fare.htm).

Con la Scuola tutto ciò ha molto a che fare.
Quel disagio che molti insegnanti avvertono, di fronte alla riconfigurazione lessicale del “nuovo che avanzaâ€?, porta infatti con sé un universo concettuale da scoprire ed esplorare. Attraverso l’analisi delle “parole della didatticaâ€? si può pensare allora di ricostruire una “geografia dei concetti” di quel pensiero che sta strutturando le modificazioni della nostra odierna situazione scolastica, e di riappropriarsene.
Consiglio la benefica navigazione di un sito web in cui condividere la prospettiva dell’iniziare a “fare ordine simbolicoâ€? cercando di comprendere quanto i significati delle parole che ci troviamo a utilizzare, come automatismi oramai legati alla professione, siano impegnativi su un piano antropologico, sociologico e politico.
“Il canovaccio di un “lessicoâ€? vi si legge “ci è parso cornice e stimolo interessante. Risemantizzare, riportare i lemmi che abitualmente utilizziamo per parlare di scuola, in una cornice politico-culturale che non rinneghi, o peggio, non modifichi strumentalmente la loro storia. Ridare senso, vivificando un concetto, o una parola capace di contenerne molti, in un piccolo tentativo di archeologia culturale. Ridare significato proprio, come operazione di ripresa di significanti abusati, frusti, oppure usciti dall’uso comune e sistemati con accezioni di comodo in modo da risultare funzionali al “nuovoâ€? che avanza… E’ proprio la base storica, il sedimento dei saperi e delle pratiche che ci interessa rimettere al lavoro. Senza questo impegno saremo tutti più poveri, più ignoranti, condannati ad una giovinezza stuporale e impoliticaâ€? (http://www.cespbo.it/testi/controlessico/controlessico.htm).
Personalmente, ritengo di essere debitrice alla filosofia anche di questo – e ovviamente ad Heidegger in particolare -, per avermi regalato l’entusiasmo di un “Dizionario etimologicoâ€? sempre a portata di mano, attraverso il quale riscoprire l’universo dei concetti e delle parole, dei più noti come dei più abusati: non a caso la rubrica di cui mi occupo si intitola “Incrociâ€?, e il suo “Prologoâ€? prende per l’appunto da lì le mosse. La radice etimologica ci riporta inoltre molto spesso al mondo greco, a quella “saggezzaâ€? (phrònesis) che per gli uomini della Grecia classica costituiva l’ideale sommo, ed era intesa come una “sapienzaâ€? strettamente collegata all’azione, alla sfera etico-politica. Si scopre così che il termine “aretèâ€? – solitamente tradotto come “virtù – significava anche qualità , pregio, nonché competenza. Ecco che allora è possibile trovare un senso autentico anche in quelle “competenzeâ€? che hanno fatto capolino a Scuola negli ultimi anni quale parti imprescindibili di qualunque programmazione didattica. E sulle tracce della Grecia classica anche il mestiere di insegnante e il nostro linguaggio didattico ci potranno così sembrare meno sterili.
Il gioco linguistico apre la strada inoltre a continue ricontestualizzazioni, alla messa in rete di linguaggi specifici, a riflessioni incrociate tra universi apparentemente distanti: il gergo delle TIC, ad esempio, e quello della Scuola, che potrebbero trarre vantaggi l’uno dall’altro. Se non si vuole soccombere ai tecnicismi di casta vale allora la pena – a mio avviso – di cercare di interrogarsi, di comprendere, di dischiudere il significato profondo delle parole, tenendo presente che il rifiuto etico degli “apocalitticiâ€? altro non è che una scheda elettorale in bianco. E che molte “brutteâ€? parole, anche se non frequentate, in ogni caso ci frequentano in modo più o meno esplicito.
Se ha ragione Austin, che con le parole si fanno cose, allora è bene essere molto attenti ai significati, e riprenderci le parole per scegliere noi cosa farne.

Laura

2 commenti a “Fare cose con le parole”
  1. Sono d’accordo. Occore ritrovare nella scuola il senso delle parole. Il didattichese è infatti una malattia: uno straparlare dimenticando il senso delle parole. Se nella scuola le parole tornassero ad avere senso si potrebbe attuare una vera riforma della scuola, facendo riferimento a quelle persone (insegnanti e alunni) che effettivamente hanno qualche cosa da dire. E non a ingannatori di professione chiamati esperti. Grazie Laura.

  2. Il mio commento può solo rifarsi alla prima parte del testo, perchè essendo ancora un allievo il mio punto di vista sulla scuola è ancora troppo “interno”.
    Secondo me le parole sono importanti, ma non indispensabili.
    Nessuno di noi può spiegare ad altri ciò che proviamo poichè le parole hanno il potere di esprimere solo parzialmente qualsiasi concetto.
    E’ solo attraverso l’esperienza diretta che ognuno può dire di conoscere, e magari neanche in modo così completo, tutto ciò che ci circonda e prova.
    Le parole servono a mettere in comune parte di noi ma non il tutto.
    Secondo me ha ragione chi dice che non puoi insegnare qualche cosa a un uomo, puoi solo aiutarlo a scoprirla dentro di sé.
    Per finire, alle parole è meglio sostituire un gesto, anche piccolo,… “costruirà ” molto di più!!!

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